Saturno Buttò, corpografie e visioni sacre tra estasi e dolore - '900 Letterario | Letteratura del '900, critica, eventi letterari, cinema, politica, attualità (2024)

L’arte sacra al giorno d’oggi può fare scalpore e dare il via a polemiche sterili e sciocche; è il caso dell’artista veneto Saturno Buttò che cerca di entrare nell’animo umano attraverso la pittura in discontinuità con la tradizione pittorica, sottolineando gli aspetti più sgradevoli ed inquietanti che straniscono chi guarda aspettandosi di trovarsi davanti a un Beato Angelico o Annibale Carracci.

Buttò sembra sfidare l’appassionato d’arte e non a vedere quello che non vogliamo vedere e che eppure siamo in grado di manifestare ogni giorni inconsapevolmente immersi nella frenesia e nella confusione della società contemporanea. L’artista veneto ci sbatte in faccia la caducità del corpo umano, le manie della mente umana, la pesantezza della nostra anima che si riversa sull’aspetto fisico. Il linguaggio artistico utilizzato da Buttò è magnetico: gotico, bizantino, fiammingo, barocco, nella sua migliore tradizione europea che ricorda artisti come Hugo van der Goes, Rogier van der Weyden, Hans Memling, Jeronymous Bosch per la monumentalità di certe pose e per l’astrazione soprannaturale, fino ad arrivare ad artisti contemporanei come Joel Peter Witkin, Robert Mapplethorpe, Andres Serrano per il modo di concepire la preparazione della tavola come se fosse una scena di un set fotografico e una certa teatralità dello spazio e dei soggetti che lo occupano.

L’intera produzione di Saturno Buttò è una visione di disperazione, dolore, sangue, erotismo, aspirazione verso l’Alto: la rappresentazione della realtà, sviscerata in una rigorosa e contraddittoria iconografia religiosa occidentale nei confronti del corpo, da un lato esibito come oggetto di culto, dall’altro negato nella sua valenza di pura bellezza erotica che promette il paradiso, è anche intesa in senso simbolico da cui scaturisce una tensione che esalta la figura umana presentata una volta con “toni elevati” altre con quelli dell’abbiezione.

Le paradossali figure umane di Saturno Buttò, attori e attrici dark della loro indole, potrebbero vagabondare tranquillamente in un romanzo di Dostojevskji o Bulgakov, divisi tra il Bene e il Male, tra voglia di salire al Cielo e quella discendere nel sottosuolo, portando sulle spalle il fardello della libertà che è il vero abisso che affascina tutti: Buttò ci fa vedere quanto siamo attratti dal male, ma la sua scoperta e intellegibilità significa anche vittoria e bellezza tanto cara all’artista, perché possiamo essere certi che il mondo di può conoscere e persino nell’inferno terreno, possiamo vivere di attimi che hanno del miracoloso. Gli uomini e le donne di Buttò sono entità che de-creano, cercando di smarcarsi da menzogne idealizzate per giungere alla verità soprattutto attraverso la sensibilità più che con la ragione. I visi e i corpi dei suoi protagonisti (soprattutto donne a volte illuminate dalla Grazia il più delle volte invece luciferine, richiamano alla mente alcuni versi terribili di Baudelaire: “Ahimè! Tutto è abisso – l’azione, il desiderio, il sogno, la parola! E tra i miei capelli che si rizzano completamente sento passare di frequente il vento del Terrore”.

Non solo. Come cantava il celebre poeta francese, le tavole (non tele, a dimostrazione che la sua arte vuole inserirsi nella grande tradizione pittorica del Quattrocento, Cinquecento e Seicento) di Buttò sembrano esprimere al contempo un senso di attrazione e repulsione per il mondo contemporaneo e per l’essere umano stesso che è il medesimo da sempre. D’altronde gli incubi hanno origine divina e l’artista di Portogruaro innalza la decadenza mentale che corrisponde a quella fisica, a stato demoniaco che ha la stesso valore sacrale e solennità delle opere bizantine e classiche, mostrando come lo stesso concetto di “sacro” sia ambiguo”. La rappresentazione degradante della sensualità, propria di Baudelaire, e in particolare delle combinazioni donna-desiderio-morte-decomposizione rispondono ad una tradizione cristiana sempr esistita, specialmente verso la fine del Medioevo, che nella personale interpretazione di Buttò diviene rappresentazione di uno sterile appagamento dei sensi dell’uomo contemporaneo in una visione di artificiosità. A differenza di Baudelaire, Buttò è artista divertente e divertito, ludico che ancora non sa se credere o meno, certamente cerca, osserva, è attratto dalla spiritualità come se questa fosse un magnete, e la cupezza religiosa che ha grande potere evocativo, quell’oscurità che ha sempre accompagnato la fede e di conseguenza anche l’arte.

Sorprende come un’opera in particolare, ovvero “Blade Lovers” possa richiamare alla mente le parole del poeta maledetto in merito all’amore: “L’amore è molto simile a una tortura o a una operazione chirurgica. Anche se i due amanti sono molto innamorati e colmi di reciproci desideri, uno dei due sarà sempre più calmo o meno invasato dell’altro. Quello, o quella, è l’operatore, ovvero il carnefice; l’altro, o l’altra, l’assoggettato, la vittima”.

L’amore dunque, anche per Buttò può avere sia l’aspetto romantico, dolce, che quello balordo e ubriaco, che ha il colore del sangue, una sete carnale dunque; così come la Natura, seguendo ancora il pensiero di Baudelaire, non ha nulla di bello, è solo caos e abominio divino, contro il quale l’uomo può combattere possedendo lui l’arma della bellezza, la sua bellezza, che è artificio ed imitazione della natura stessa.

L’altra componente quasi sempre presente delle opere di Buttò è il sangue che ha valenza sacra, rituale, sessuale, vitale, alimentare. Il sangue, come dice anche la Bibbia è il sostrato materiale della vita del corpo che è a sua volta l’unità di misura dell’artista veneto che si muovo tra purezza e impurità. La vita, di cui il sangue come sostanza è principio, impregna la “carne”, basti pensare che nei primi cinque libri dell’Antico Testamento la parola “carne” è quasi del tutto priva di una connotazione morale negativa, nella misura in cui denota tutta la materia organica dotata di vita.

Dati questi elementi, si può affermare che Buttò, riprendendo le parole dell’antropologa Camille Paglia, ignori l’armonia, l’ordine e la bellezza della Natura dietro un apparente caos che chiamiamo tale solo perché non siamo in grado di riconoscere determinati segni, flussi e cicli. Il caos è tutto nella mente e nella visione spesso distorta dell’uomo, che Buttò vestendo spesso i panni del dandy, rappresenta nelle sue sfumature, compresa quella dell’insofferenza verso tutto ciò che è naturale. Anche dietro l’apparente blasfemia e p*rnografia (che non è una sorella dell’arte, come sostiene l’artista, semmai una banale deriva che prende chi non sa fare Arte anche un urinatoio) delle opere di Buttò. Si legge dunque un desiderio di veicolare bellezza, ironia e gioia di vivere, dando voce alle pulsioni e ai mutamenti (anche sessuali) dell’uomo, persino del santo, del martire, ai suoi riti primitivi e quotidiani, alle ierogamie, alle messe nere, lasciandoci con almeno un paio di domande: l’estasi religiosa è anche un’esperienza sessuale che è semplicemente una prova che si è vivi? Bisogna davvero annientare il proprio corpo per avvicinarsi a Dio? E una quasi certezza: il mondo sotterraneo, buio e pauroso non è la sede del male e delle tenebre, ma anche in esso vive la nostra anima. Ciò che sta sotto non sempre è sinonimo di degrado, ma può significare semplicemente profondità. Quella profondità che non capiamo da dove provenga ma che ci fa vivere anche “involontariamente” come ci mostrano molti dei personaggi di Buttò che hanno la “tentazione di esistere”, per dirla alla Cioran e come Cioran, l’artista veneto, esorcizza i nostri fantasmi, sublimandole tenebre per approdare all’amore, profumando i protagonisti delle sue opere, che apparentemente sanno di marcio, incastonandoli nella solennità dell’arte metafisica e nella bellezza del soprannaturale.

La carriera espositiva di Buttò comincia nel 1993, anno in cui viene pubblicata anche la sua prima monografia “Ritratti da Saturno: 1989-1992″. Da allora seguono numerose esposizioni personali in Italia, Europa e negli Stati Uniti. Oltre ad altri due volumi monografici “Opere 1993-1999″ e “Martyrologium” (2007), la galleria Mondo Bizzarro di Roma in occasione della recente mostra ha pubblicato l’ultimo catalogo in ordine di tempo: “Blood is my favourite color” (2012).

1 Cosa l’ha spinta verso l’arte sacra?

Il sacro è prima di tutto un interesse legato alla nostra cultura e al senso di appartenenza piuttosto che alla devozione in sé. Inoltre la spiritualità, nel mio lavoro, è una parte della ricerca che vuole indagare sulla natura umana nella sua completezza. Tuttavia credo di aver avuto, da sempre, una certa “attitudine” per il trascendente. Sono affascinato dalla liturgia cristiana, il suo cerimoniale, la musica sacra. Insomma la monumentalità espressa nel rito liturgico. Poi, naturalmente, c’è l’arte figurativa, italiana ed europea quella che va dal ‘400 al ‘600 che, per quanto mi riguarda, ha dato un contributo essenziale in questa direzione.

2 C’è più luce o oscurità ad avvolgere il il sacro e la fede religiosa?

Ancora oggi io non riesco capire se sono un credente oppure no. Rimane il fatto che questo “mistero della fede” è un’altra grande questione che alimenta il mio immaginario. Non dimentichiamo che è il mistero e tutto ciò che non conosciamo a renderci curiosi. Senz’altro ci vedo più oscurità che luce nel fenomeno in sé . Questo perché non ho una grande considerazione dell’uomo, in generale. Al di là di una personale e intima spiritualità, spesso non ben definita, nella religione ci vedo tutte le “debolezze” di una politica coercitiva. Probabilmente necessaria, ma assolutamente troppo invasiva. Dove, di fatto, non c’è coerenza, anzi, dove ci sono tante contraddizioni. Tuttavia è anche proprio in questa “oscurità” che la mia immaginazione trova alimento… é in un contesto così poco trasparente che nascono e si rinnovano continuamente le idee, che si rivelano essere esercizi di emancipazione. Io lo devo ammettere, la “cupezza” della nostra religione è stata sempre molto evocativa.

3 Cosa considera sacro l’uomo contemporaneo e perché?

Non sono un sociologo, ma, per quello che vale, posso esprimere la mia opinione sulla base di quello che percepisco quotidianamente. Ormai l’informazione e in un qualche modo la cultura sono appannaggio dei più. Questo ridimensiona molto il senso del sacro tradizionale. Oggi si tende a celebrare l’idolo più del dio. Non è particolarmente edificante come condizione, ma basta osservare le tendenze giovanili per capire che c’è più attenzione verso una rock star che per Gesù. Insomma io vedo una graduale e continua disgregazione dei valori sacri e la colpa è anche della chiesa che non si apre mai abbastanza in fretta ai cambiamenti sociali.

4 Le sue opere traboccano si sensualità, inquietudine, gusto per il gotico e per il grottesco, ma anche di spiritualità e ricerca di profondità e del definito, in questo modo vuole solo rappresentare la figura umana di oggi o la sua è una riflessione sull’uomo di ogni tempo?

La mia vorrebbe essere una riflessione sull’uomo nella sua completezza, non considero la natura umana così diversa nel tempo. I temi dominanti rimangono sempre gli stessi e primi fra tutti sessualità e spiritualità, appunto. Tuttavia io vivo il mio tempo storico. E dunque mi pongo in relazione al soggetto attraverso tutte le implicazioni possibili oggi. Nel dipingere una figura umana contemplo la sua personalità insieme all’archetipo, questa osservazione genera una condizione di identità e identificazione che ne determina la contemporaneità!

5 I suoi personaggi sono in tensione tra Alto e Basso, tra erotismo e dolore, purezza e degrado. È

questo per lei il sublime artistico?

Direi assolutamente si! Diversamente agirei con altre forme e contenuti. Come accennavo sopra la priorità è determinare una contemporaneità nell’esecuzione di un opera e questo si manifesta (nel mio caso) con una visione a 360 gradi sull’individuo. Contemplandone ogni dettaglio, per quanto disturbante. Una formula obbligata se non si vuole scadere in una sorta di arte decorativa fine a se stessa.

6 Quali artisti l’hanno influenzata maggiormente?

L’arte ellenistica, il nostro rinascimento e in qualche modo il glamour Hollywoodiano sono stati un grande stimolo per la mia ricerca. Devo aggiungere anche alcuni fotografi contemporanei: Joel Peter Witkin, Robert Mapplethorpe, Andres Serrano sono stati di ispirazione per il mio lavoro. Non ho trovato invece riferimenti nella pittura del ‘900. Fatta eccezione per Francis Bacon non mi sono mai sentito particolarmente interessato verso altri artisti figurativi. In sintesi il modello sul quale baso il mio lavoro è un connubio tra l’arte classica (supporto tecnico) e una ricerca fotografica non documentaristica (parte concettuale).

7 L’arte contemporanea che ha successo è solo quella riproducibile e concettuale?

Io direi proprio di sì. Ed è giusto che sia così. Lo affermo mio malgrado, dal momento che la mia ricerca va in direzione opposta. Ritengo cioè un punto alto l’unicità e non riproducibilità dell’opera. Purtroppo il problema di questi media (mi riferisco a pittura e scultura) è, quasi sempre, la totale mancanza di originalità, di contemporaneità della rappresentazione. Una sorta di anacronismo che permea il lavoro di pittori e scultori tradizionali, concentrati perlopiù a dimostrare la loro bravura tecnica piuttosto che rischiare l’impopolarità inseguendo percorsi più originali. Ci sono delle eccezioni (almeno lo spero, naturalmente), ma è un po’ come è successo nel secolo scorso con Lucien Freud, Balthus, Bacon stesso. Pochi artisti di grande personalità semplicemente “non allineati” e dunque ingestibili da un sistema che si basa sui numeri del mercato dell’arte.

8 Ne “La sposa ebbra” sembra consumarsi un rito laico dove il vino rende possibile l’estasi cristiana delle sante che però assume risvolti bizzarri…

In un qualche modo lo si potrebbe leggere anche così. Del resto è mia opinione che molti siano i punti in comune tra Paganesimo e Cristianesimo. In questo caso, dal sacramento del matrimonio, la sposa e le due damigelle si trasformano in sacerdotessa e baccanti di chissà quale rituale, grazie al vino. Il mio intento era quello di manifestare una idiosincrasia verso le regole in generale. Molto sinteticamente: il caos dionisiaco che prende il sopravvento sull’ordine apollineo.

9 L’arte contemporanea esprime poetiche complesse proprio nel superamento interdisciplinare delle dicotomie tra uomo e tecnologia. Lei come si pone di fronte a questo fenomeno?

E’ prerogativa dell’arte anticipare cambiamenti e mutazioni di ordine sociale. Sempre di più siamo testimoni di un percorso nuovo intrapreso dall’umanità che ci porterà a convivere con situazioni dove la dicotomia uomo-tecnologia non sarà più tale. E’ una riflessione che mi accompagna da molto tempo, tuttavia non credo di avere gli strumenti tecnici adatti per esprimere compiutamente tale fenomeno. Decisamente i media extra-pittorici si riveleranno più adatti. Con l’arte figurativa per non scadere in “banali soluzioni illustrative” bisogna porre l’attenzione a piccoli dettagli capaci di far intuire tali poetiche. Un percorso più difficile, ma non improbabile… In fondo è proprio questo il problema delle arti tradizionali rispetto ai nuovi media, lo stesso concetto espresso poco sopra. Se non si è capito, io sono decisamente critico nei confronti dell’arte figurativa. Compresa la mia s’intende.

10 Cos’è per lei il corpo? Il Cristianesimo è l’unica religione secondo la quale a risorgere saranno anche i corpi, tanto che un teologo di cui non ricordo il nome sosteneva che se si vuole sapere se una persona è davvero cristiana bisogna chiederle se questi crede alla resurrezione dei corpi o all’immortalità dell’anima, la Bibbia pullula di erotismo. Insomma il corpo siamo noi? È la nostra identità che la contemporaneità indica come un retaggio culturale, una sovrastruttura, che si può cambiare?

Il corpo è la mia unità di misura! Nel mio lavoro mi sono sempre rapportato al corpo, prima (in quanto forma) e solo dopo alla mente (deve essere per deformazione professionale). I vari detti popolari tipo: “Mens sana in corpore sano” non sono poi buttati lì a caso. Dunque per me è il punto di partenza, senza il quale mi sentirei incapace di pensare in termini creativi. Naturalmente il corpo è anche bellezza, rivelazione, desiderio e mistero (ancora una volta). Il Cristianesimo è la religione del corpo, ed io nutro una profonda riconoscenza, proprio in virtù del fatto che essa lo ha celebrato e reso oltremodo iconico. Un percorso iniziato dai greci che caratterizza l’occidente nella sua visione del mondo in cui io, semplicemente, mi riconosco. Detto questo però non oso affermare che il “corpo siamo noi”. Non ho e non ci sono certezze e qui ritorniamo al “mistero della fede” sopra espressa. Posso invece aggiungere che il corpo umano si modificherà! Come tutto del resto del creato, anche noi viviamo in una continua trasformazione. Forse qualcosa di importante in questa direzione è già iniziato, prevedo una fusione tra generi maschile e femminile relativamente presto. Sempre che si riesca a salvare il pianeta nel frattempo.

11 I protagonisti delle sue opere sembrano essere spiate più che accompagnare, guardate con amorevolezza da Dio, è in parte così?

Ma certamente! Questo è un retaggio della religione cattolica che ci ha inculcato idea del peccato. Cosa che trovo stimolante sia ben chiaro. Anche perché poi viene contemplato il perdono, seppur dopo un sincero pentimento e qui si potrebbe discutere… Comunque sia, le mie rappresentazioni hanno, molto spesso, a che fare con un rituali considerati peccaminosi o comunque con pratiche decisamente intime legate sia alla religiosità che alla sessualità. Questa è la ragione per cui le scene si svolgono in ambiti dove non c’è luce naturale. Stanze chiuse, luce controllata artificialmente, una messa in scena quasi teatrale dove i protagonisti compiono un determinato rituale, intimo perlopiù, forse rivolto a pochi iniziati… in definitiva è la giusta osservazione da fare: il fruitore diventa un privilegiato voyeur intento “spiare” ciò che nell’opera sta accadendo.

12 L’esposizione che l’ha gratificata di più?

Ci sarebbero più esposizioni personali a cui sono particolarmente legato da bei ricordi, a Roma, Los Angeles e San Francisco. Ma citerò la personale di Spinea VE del 2018, perché la location era speciale. Non una galleria ma una chiesetta del ‘600 dove le mie opere dialogavano con gli affreschi del luogo. Inoltre per l’occasione ho realizzato quella che per me potrebbe rivelarsi come l’unica pala d’altare possibile “Paradise Decadence” (giusto perché si trattava di una chiesa sconsacrata).

13 Le sue tavole paiono volerci dire: accettare il Mistero della fede, della Vita, solo così possiamo in parte placare le nostre ossessioni e relazionarci a Dio, in tal senso, il tormento è un passaggio necessario?

Difficile rapportarsi alla vita escludendo tormenti interiori. Però possiamo ironizzare…

14 Cosa pensa dia più fastidio o irriti delle sue opere e cosa vorrebbe irritasse di più in senso positivo, smuovendo qualcosa in chi li osserva?

Credo che le persone, ancora oggi, si aspettano di osservare in un dipinto figurativo temi conformi alla tradizione pittorica. Dunque soggetti come il paesaggio, la natura morta e il ritratto. E nel caso di quest’ultimo, che esso sia sostanzialmente “composto”. Delegando alla fotografia o altri media extra-pittorici diciamo così, “tematiche diverse”. A me invece diverte l’idea di toccare corde più profonde, dipingendo! Escludendo paesaggi e nature morte che non mi appartengono, nel rappresentare la figura umana voglio entrare nel profondo dell’anima. Mettere in rilievo aspetti del tutto personali, intimi. Evidenziarne fragilità e debolezze. Il desiderio, la libido, le parafilie. Sottolineare la transitorietà e caducità dell’aspetto fisico. E, soprattutto, ribadire quanto siano vicine tematiche come la sessualità e la spiritualità. E’ del tutto normale che qualcuno trovi disturbante il mio modo di rappresentare il mondo. Ma a me sta bene così! Sono in pace con me stesso e non mi interessa il giudizio. Sono consapevole di quanto tutto sia estremamente relativo.

15 Qual è il suo archetipo preferito?

Mi viene in mente “La Grande Madre” e l’origine della bellezza. Che poi è anche l’origine dell’arte. Cito Camille Paglia: “Tutto ha inizio dalla natura ctonia, dal culto terrestre della Grande Madre! In natura non c’è nulla di bello. La natura è un potere elementare, rude e caotico. La bellezza è la nostra arma contro la natura: per mezzo di essa facciamo oggetti e diamo loro un limite, simmetria e proporzione. La bellezza arresta e raggela il flusso turbolento della natura.” Mi affascina!

16 Prossimi impegni?

In termini di programmi espositivi poco o nulla a causa della pandemia in corso. Sto pensando ad un nuovo catalogo monografico e presentarlo, magari, in contemporanea ad una personale. In studio procedo con il mio programma lavorativo sempre incentrato sulla produzione di tavole ad olio che, malgrado tutto, prosegue con discreta continuità.

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Name: Gov. Deandrea McKenzie

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